Il freddo e la pioggia, a volte anche forte, mettono a dura prova la resistenza di tanti, ma soprattutto la testa che, come il nostro inviato Michele Bazzani, non deve abbandonare le gambe.
(Testo di Michele Bazzani, foto di Enrico Cavallini/PlayFull)
La granfondo della Versilia è una delle più importanti classiche del calendario cicloamatoriale toscano, che richiama ogni anno numerosi ciclisti, anche dal nord Italia. Questo tratto di litorale che si sviluppa per decine di chilometri da Lido di Camaiore sembra fatto apposta per il ciclismo, con i suoi accoglienti viali a mare e colline e montagne che incombono sulla costa.
Purtroppo quest’anno il clima, di solito piuttosto mite anche in inverno, non si prospetta essere dei migliori: le previsioni danno pioggia e temperature in calo per tutto il week end e terranno lontani quei ciclisti che si iscrivono negli ultimi giorni. Il pomeriggio del sabato si presenta con un forte acquazzone, seguito da un forte vento di libeccio che allontana, almeno temporaneamente, le nuvole. Purtroppo saranno gli unici raggi di sole che vedremo in tutto il fine settimana.
Al raduno di partenza prevale la preoccupazione sulle condizioni in cui presumibilmente andremo a gareggiare. Saluto diversi ciclisti provenienti dalle mie zone, con cui spesso condivido i miei allenamenti. Tra questi Luca, forte ciclista di Certaldo, in cerca di rassicurazioni sull’opportunità di partire. Questo sarà il dubbio che attanaglierà tutti anche la domenica mattina, quando ci accoglie una pioggia battente che promette di farci compagnia per tutto il percorso.
L’umore sale quando arriva il furgone con i miei compagni di squadra: l’idea di non partire nemmeno ci sfiora e le discussioni vertono piuttosto su come vestirci per difenderci al meglio da pioggia e freddo. La maggior parte degli iscritti non è della medesima idea e quando arriviamo, pochi minuti prima del via, alle griglie di partenza, le troviamo desolatamente vuote: meno di un terzo degli iscritti prenderà effettivamente il via. Giustamente chi non se la sente preferisce non partire: siamo a inizio stagione e non è il caso di compromettere l’annata ciclistica, correndo inutili rischi. Una vera disdetta per tutti, organizzatori compresi, che vedono la loro festa parzialmente compromessa, dopo mesi di preparativi.
Ma c’è una gara da fare e siamo pronti. I quasi 400 coraggiosi ciclisti si lanciano verso e colline alzando una nuvola d’acqua che ci acceca letteralmente. Incredibilmente sarà una delle partenze più sicure che abbia mai fatto: scatta infatti lo spirito di autoconservazione del gruppo, senza quegli inevitabili fenomeni che caratterizzano spesso le fasi iniziali di gara. Ci sarà tempo per dare battaglia, sulle numerose salite presenti nel percorso, per l’occasione ridotto a quello di mediofondo per intelligente decisione degli organizzatori.
Battaglia per tanti ma non per me. All’attacco della salita di Pedona mi accorgo di avere le polveri bagnate e capisco che sarà una corsa di sofferenza. Vedo l’avanguardia del gruppo sparire dietro un tornante e cerco con fatica di trovare il mio passo. La discesa stavolta non porterà il solito sollievo. Un fiume d’acqua scorre sotto le nostre ruote, mentre cerchiamo di capire se e quanto la nostra bici riesce a frenare. La prudenza diventa la parola d’ordine per tutti, ma chi non era preparato va subito in ipotermia ed è costretto ad abbandonare.
Anche a me sfiora l’idea del ritiro, mentre le gambe decidono di non accompagnare lo sforzo, ma poi prevale l’orgoglio e la consapevolezza che il mio abbigliamento tecnico mi terrà al riparo da ulteriori difficoltà. Fugata questa idea insensata, recupero un gruppo numeroso con cui affronto il lungo falsopiano in discesa che ci porta verso Lucca: qui il vento è contrario e la pioggia che arriva in orizzontale ci sferza il volto. Una svolta a destra giunge quasi come una liberazione. Ma da adesso iniziano le salite più dure. Un lungo susseguirsi di rampe e di stradine strette, ora nel bosco ora nella campagna lucchese, ci mettono a dura prova, soprattutto nelle discese tecniche e ripide. Immagino che sarebbe un bello scenario pedalando con il sole, ma il contesto è comunque affascinante. In questo tratto, ho modo di apprezzare anche l’assoluta assenza di traffico e il lavoro encomiabile dei volontari addetti agli incroci, ancora più bagnati e infreddoliti di noi, cui non faccio mancare le mie parole di ringraziamento.
Siamo ben oltre la metà del percorso, quando vedo il mio compagno Stefano fermo sul bordo della strada, in preda alla sua seconda foratura. Senza esitare gli passo il mio borsello con il kit di riparazione, sperando che possa ripartire facilmente. L’insidia è dietro ogni angolo, ma i chilometri scorrono lentamente e l’arrivo si avvicina. C’è da superare ancora un’ultima asperità, la salita più lunga del percorso con i suoi sette chilometri, già percorsi in discesa a inizio gara. Qui mi sento un po' meglio e provo ad allungare il passo, anche solo per scaldarmi. In vetta raggiungo Stefano Gazzarri, organizzatore della Granfondo di Pomarance, con cui percorrerò di gran carriera gli ultimi chilometri in pianura che portano verso l’arrivo posto sul lungomare.
Anche se abbiamo fatto solo 102 chilometri, è sempre tanta la soddisfazione di arrivare al traguardo, soprattutto se questo è stato conquistato con tanta sofferenza. I miei compagni, perlomeno quelli non afflitti da forature, sono già arrivati da alcuni minuti e raccontano la loro avventura fatta di grinta e tenacia, la stessa che ho riscontrato negli allenamenti di questo difficile inverno. Alcuni hanno sofferto il freddo e adesso una doccia calda ristoratrice è proprio il toccasana. E l’umore torna alto mentre ci dirigiamo verso il meritato pasta-party e la festa finale. Partire nelle condizioni odierne e concludere questa gara non ci ha reso migliori, non abbiamo fatto nessuna impresa. Ma ci siamo divertiti …
(21 marzo 2018)
Purtroppo quest’anno il clima, di solito piuttosto mite anche in inverno, non si prospetta essere dei migliori: le previsioni danno pioggia e temperature in calo per tutto il week end e terranno lontani quei ciclisti che si iscrivono negli ultimi giorni. Il pomeriggio del sabato si presenta con un forte acquazzone, seguito da un forte vento di libeccio che allontana, almeno temporaneamente, le nuvole. Purtroppo saranno gli unici raggi di sole che vedremo in tutto il fine settimana.
Al raduno di partenza prevale la preoccupazione sulle condizioni in cui presumibilmente andremo a gareggiare. Saluto diversi ciclisti provenienti dalle mie zone, con cui spesso condivido i miei allenamenti. Tra questi Luca, forte ciclista di Certaldo, in cerca di rassicurazioni sull’opportunità di partire. Questo sarà il dubbio che attanaglierà tutti anche la domenica mattina, quando ci accoglie una pioggia battente che promette di farci compagnia per tutto il percorso.
L’umore sale quando arriva il furgone con i miei compagni di squadra: l’idea di non partire nemmeno ci sfiora e le discussioni vertono piuttosto su come vestirci per difenderci al meglio da pioggia e freddo. La maggior parte degli iscritti non è della medesima idea e quando arriviamo, pochi minuti prima del via, alle griglie di partenza, le troviamo desolatamente vuote: meno di un terzo degli iscritti prenderà effettivamente il via. Giustamente chi non se la sente preferisce non partire: siamo a inizio stagione e non è il caso di compromettere l’annata ciclistica, correndo inutili rischi. Una vera disdetta per tutti, organizzatori compresi, che vedono la loro festa parzialmente compromessa, dopo mesi di preparativi.
Ma c’è una gara da fare e siamo pronti. I quasi 400 coraggiosi ciclisti si lanciano verso e colline alzando una nuvola d’acqua che ci acceca letteralmente. Incredibilmente sarà una delle partenze più sicure che abbia mai fatto: scatta infatti lo spirito di autoconservazione del gruppo, senza quegli inevitabili fenomeni che caratterizzano spesso le fasi iniziali di gara. Ci sarà tempo per dare battaglia, sulle numerose salite presenti nel percorso, per l’occasione ridotto a quello di mediofondo per intelligente decisione degli organizzatori.
Battaglia per tanti ma non per me. All’attacco della salita di Pedona mi accorgo di avere le polveri bagnate e capisco che sarà una corsa di sofferenza. Vedo l’avanguardia del gruppo sparire dietro un tornante e cerco con fatica di trovare il mio passo. La discesa stavolta non porterà il solito sollievo. Un fiume d’acqua scorre sotto le nostre ruote, mentre cerchiamo di capire se e quanto la nostra bici riesce a frenare. La prudenza diventa la parola d’ordine per tutti, ma chi non era preparato va subito in ipotermia ed è costretto ad abbandonare.
Anche a me sfiora l’idea del ritiro, mentre le gambe decidono di non accompagnare lo sforzo, ma poi prevale l’orgoglio e la consapevolezza che il mio abbigliamento tecnico mi terrà al riparo da ulteriori difficoltà. Fugata questa idea insensata, recupero un gruppo numeroso con cui affronto il lungo falsopiano in discesa che ci porta verso Lucca: qui il vento è contrario e la pioggia che arriva in orizzontale ci sferza il volto. Una svolta a destra giunge quasi come una liberazione. Ma da adesso iniziano le salite più dure. Un lungo susseguirsi di rampe e di stradine strette, ora nel bosco ora nella campagna lucchese, ci mettono a dura prova, soprattutto nelle discese tecniche e ripide. Immagino che sarebbe un bello scenario pedalando con il sole, ma il contesto è comunque affascinante. In questo tratto, ho modo di apprezzare anche l’assoluta assenza di traffico e il lavoro encomiabile dei volontari addetti agli incroci, ancora più bagnati e infreddoliti di noi, cui non faccio mancare le mie parole di ringraziamento.
Siamo ben oltre la metà del percorso, quando vedo il mio compagno Stefano fermo sul bordo della strada, in preda alla sua seconda foratura. Senza esitare gli passo il mio borsello con il kit di riparazione, sperando che possa ripartire facilmente. L’insidia è dietro ogni angolo, ma i chilometri scorrono lentamente e l’arrivo si avvicina. C’è da superare ancora un’ultima asperità, la salita più lunga del percorso con i suoi sette chilometri, già percorsi in discesa a inizio gara. Qui mi sento un po' meglio e provo ad allungare il passo, anche solo per scaldarmi. In vetta raggiungo Stefano Gazzarri, organizzatore della Granfondo di Pomarance, con cui percorrerò di gran carriera gli ultimi chilometri in pianura che portano verso l’arrivo posto sul lungomare.
Anche se abbiamo fatto solo 102 chilometri, è sempre tanta la soddisfazione di arrivare al traguardo, soprattutto se questo è stato conquistato con tanta sofferenza. I miei compagni, perlomeno quelli non afflitti da forature, sono già arrivati da alcuni minuti e raccontano la loro avventura fatta di grinta e tenacia, la stessa che ho riscontrato negli allenamenti di questo difficile inverno. Alcuni hanno sofferto il freddo e adesso una doccia calda ristoratrice è proprio il toccasana. E l’umore torna alto mentre ci dirigiamo verso il meritato pasta-party e la festa finale. Partire nelle condizioni odierne e concludere questa gara non ci ha reso migliori, non abbiamo fatto nessuna impresa. Ma ci siamo divertiti …
(21 marzo 2018)